07 Nov L’EROE DEL VILLAGGIO
Cavalieri indomiti dell’India antica
di Renzo Freschi
Quella dell’eroe è una leggenda universale che ogni cultura ha declinato secondo la propria storia. In India l’eroe del villaggio è esistito da sempre, da prima degli dei, da quando degli uomini e delle donne si sono riconosciuti come una comunità e la comunità ha avuto bisogno di protezione da chiunque la minacciasse, uomo o animale che fosse. Con lui è iniziata l’era dei miti ma il mito non l’ha reso una figura astratta perché il suo corpo è segnato da ferite, bagnato di sangue, talvolta sconfitto ma più spesso vittorioso per cui le sue gesta, passate di bocca in bocca, sono diventate immortali. Poi il villaggio è diventato città e la città nazione, l’eroe lentamente ha perso il cavallo in favore di armi ben diverse, ma questo non riguarda i personaggi che queste figure in bronzo ci raccontano.
Immagini del culto dell’eroe del villaggio esistono in gran parte dell’India, dal Rajasthan -dove lapidi in pietra con l’effige del cavaliere caduto in battaglia raccontano le gesta gloriose dei guerrieri Rajput – fino alle campagne del Tamil Nadu -dove si trovano i grandi cavalli in terracotta di Aiyanar, il dio che protegge il villaggio e le messi. Tuttavia in India l’eroe-cavaliere non è una figura laica, raramente ha un’identità precisa, essendo spesso considerato una manifestazione divina.
Gruppo di stele commemorative di eroi del villaggio.
Rajasthan 1983.
Foto Renzo Freschi
Come sempre è avvenuto, le nuove religioni si appropriano dei culti popolari precedenti e il popolo ama che i suoi eroi diventino figure soprannaturali e che le loro gesta siano ispirate dalla grazia divina. In India, per il processo di “induizzazione”, l’eroe locale diventa incarnazione di un dio, non di Brahma il creatore e raramente di Vishnu che preserva l’ordine ma soprattutto di Shiva, divinità che attinge alle radici del mito e dei culti popolari e il cui aspetto spesso bellicoso ben si adatta alla figura dell’eroe. Così molte di queste statue in bronzo, pur con nomi diversi, sono venerate come manifestazioni di Shiva e se l’eroe diventa dio i suoi nemici sono demoni da distruggere. Le più antiche immagini di figure a cavallo risalgono ai primi secoli d.C. ma non rappresentano eroici cavalieri bensì divinità indù: sono Indra, il re degli dei, che per primo monta un cavallo; poi Surya, il dio sole, su un carro condotto da sette cavalli e poi ancora Revanta, patrono dei cacciatori e protettore degli spiriti della foresta. Sono le figure di questi dei che per molti secoli decorano le pareti dei templi; in un certo senso sono immagini istituzionali che incorporano tradizioni molto più antiche. Solo intorno al XV secolo compaiono le prime statue in bronzo di eroi a cavallo. E’ difficile dare una spiegazione della mancanza di esempi più antichi; probabilmente l’antico culto dei Viras, gli eroi-antenati, è continuato per secoli sotto l’ala ecumenica dell’induismo, ma verso il XV secolo le vicende storiche ne rinnovano il culto con nuovi e attuali eroi divinizzati. Nel Nord lo scontro dei vari regni Rajput tra di loro e contro la soverchiante invasione dei Moghul ha reso questi guerrieri di casta kshatriya dei combattenti così indomiti e famosi che le loro gesta entrano nel folklore popolare, celebrati da cantastorie e ricordati da centinaia di stele commemorative nei luoghi in cui hanno perso la vita. Il cavaliere diventa allora un’icona identitaria dei Rajput: sono infatti celebri i ritratti a cavallo del maharaja e dei vari principi.
Nel XVIII e il XIX secolo il “ritratto a cavallo” diventa un must al quale nessun aristocratico si sottrae, anche se sono dipinti “politici”, nel senso che mirano a celebrare il potere personale e che ben poco hanno a che fare con gli eroi del villaggio. In Rajastan il culto del cavaliere-eroe diventa così popolare che la sua immagine viene riprodotta su medaglioni in argento portati al collo delle donne.
Sempre in Rajasthan l’etnia Bhil produce piccoli cavalieri in bronzo che pur simili nella forma a quelli del resto dell’India non appartengono alla tradizione cavalleresca ma sono considerati “traghettatori” dell’anima del defunto nell’altro mondo. Sono statuine dallo stile essenziale e stilizzato utilizzate dai Bhil durante le cerimonie funebri. Il culto di questi eroici cavalieri è così pervasivo da diffondersi anche nelle vaste aree dell’India centrale dove i nativi (adivasi) abitano da sempre. Alcuni gruppi etnici come i Kondh e i Bastar producono cavalieri in metallo esteticamente molto diversi dal raffinato naturalismo di quelli del Nord e del Sud. La spontanea semplicità di queste statuine le rende immagini concettuali che attingono alle radici della storia della comunità. Non importano le proporzioni, le finiture, i dettagli, la rigidità di cavallo e cavaliere perché prevale un’idea di forza e di arcaica purezza.
Anche nell’India meridionale, dal XV secolo, la figura del cavaliere-eroe diventa molto popolare tanto che la sua immagine viene posta nei grandi templi e sugli altari domestici. Lo scontro tra l’impero Moghul e gli stati indù è davvero cruento e nel XVII secolo Shivaji, sovrano del regno Maratha, riesce a sconfiggere l’imperatore Aurangzeb e a liberare il Deccan dall’espansione islamica. La sua figura di prode condottiero, incarnazione dell’eroe del villaggio, diventa così famosa che probabilmente molte statue di cavalieri in bronzo la celebrano in forma anonima. Nel Sud, ogni regione ha il proprio fiero condottiero in bronzo, terracotta e legno, con nomi diversi: Khandoba, Karuppan Sami, Massanna, Aiyanar sono in origine divinità locali (grama devata) divenute manifestazioni di Shiva e raramente di Vishnu. Spesso è difficile distinguerli l’uno dall’altro dato che Aiyanar e Khandoba portano entrambi la spada e lo scudo. Un esempio importante delle statue equestri dell’India meridionali sono le due grandi figure in bronzo, una con cavallo e l’altra senza, composte da più parti che vengono assemblate insieme e portate in processione durante la festa annuale a loro dedicata. Indossano il tipico abbigliamento del guerriero con armatura, elmo, spada e scudo ma sono eroi deificati, dato che il tamburello di uno e i due cobra sulle spalle dell’altro sono attributi di Shiva.
La mescolanza tra sacro e mondano è frequente nell’arte popolare indiana; talvolta prevale l’indeterminatezza del personaggio e talvolta i quattro oggetti rituali permettono di riconoscerlo come Shiva. In alcuni casi l’atteggiamento bellico è evidente dato che il cavaliere sovrasta dall’alto del suo destriero il nemico che cerca di difendersi levando la spada ma viene addentato ai fianchi dai fidi cani del condottiero.
Nella bella placca in argento sbalzato la vittoria sul nemico è resa ancora più evidente dalle teste mozzate sotto gli zoccoli del cavallo; Khandoba e la compagna Mhalsa siedono su un destriero la cui dimensione esprime la forza invincibile del condottiero.
Anche in alcune immagini del Sud prevale l’aspetto che celebra il potere aristocratico (del resto re e imperatori non sono considerati figure divine in tutto il mondo?) rispetto a quello eroico o divino: il maharaja che siede su un cavallo sontuosamente bardato è affiancato da due palafrenieri che portano una fiasca e un uccello, forse preludio della caccia con il falco.
Ancora più encomiastico è il dipinto su vetro della scuola di Tanjore che vede il maharaja con moglie e figlia su un cavallo rampante preceduto da un attendente con stendardo e seguito da un secondo servitore che regge un parasole sulla testa del sovrano.
La figura dell’eroe a cavallo compare anche nei grandi santuari del Tamil Nadu, dove le colonne di ingresso di molti templi sono scolpite con magnifici cavalieri e cavalli rampanti, veri capolavori dell’arte e dell’architettura indiana.
Lo stesso avviene nei grandi carri processionali in legno (ratha), in realtà templi mobili, decorati con mensole traforate di file di cavalieri.
Cambiano i tempi, i costumi, le tradizioni ma la figura dell’eroico condottiero non è scomparsa dalla memoria collettiva del Paese così ancora oggi, nella maggior parte dei matrimoni indiani, lo sposo bardato come un vero condottiero arriva sul luogo della cerimonia in groppa a un cavallo bianco.
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